Così diceva Sciascia e questa frase ben sintetizza il difficile rapporto che i giovani d’oggi hanno con la nostra lingua, evidenziato di recente dal Gruppo di Firenze
di Federico Agrifogli
Questa frase, tratta da “Una storia semplice” di Leonardo Sciascia, è un’espressione in grado di descrivere il rapporto che i giovani d’oggi hanno con l’italiano. Infatti sta ad indicare la capacità di formulare un proprio concetto attinente all’argomento trattato e di esprimerlo nei modi corretti.
“I nostri giovani sanno troppo poco. Non conoscono le lingue, l’italiano compreso e neanche i rudimenti della matematica. Non sanno fare di conto”.
Queste le parole con cui Elsa Fornero, ministro del Lavoro, ha affermato – in un convegno tenutosi nel 2012 a Torino e riguardante l’apprendistato – come la maggior parte dei giovani compresi fra i 18 e 24 anni non conoscesse l’italiano. A questo si aggiunge oggi un appello da parte di numerosi professori del Gruppo di Firenze, che – analizzando le tesi di laurea degli studenti – si sono imbattuti nella correzione di clamorosi errori grammaticali. Alcuni di loro si sono visti pertanto costretti ad avviare dei corsi di recupero di lingua italiana.
A quanto pare il problema risulta essere molto grave, tanto da costringere gli insegnanti a rendere noto il fatto scrivendo una lettera di lamentele indirizzata al Presidente del Consiglio, al Ministro dell’Istruzione e al Parlamento, di cui pubblichiamo un estratto:
“Abbiamo bisogno di una scuola davvero esigente nel controllo degli apprendimenti oltre che più efficace nella didattica, altrimenti né il generoso impegno di tanti validissimi insegnanti né l’acquisizione di nuove metodologie saranno sufficienti. Dobbiamo dunque porci come obiettivo urgente il raggiungimento, al termine del primo ciclo, di un sufficiente possesso degli strumenti linguistici di base da parte della grande maggioranza degli studenti. A questo scopo, noi sottoscritti docenti universitari ci permettiamo di proporre le seguenti linee di intervento:
– una revisione delle indicazioni nazionali che dia grande rilievo all’acquisizione delle competenze di base, fondamentali per tutti gli ambiti disciplinari. Tali indicazioni dovrebbero contenere i traguardi intermedi imprescindibili da raggiungere e le più importanti tipologie di esercitazioni
– l’introduzione di verifiche nazionali periodiche durante gli otto anni del primo ciclo: dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura corsiva a mano
– sarebbe utile la partecipazione di docenti delle medie e delle superiori rispettivamente alla verifica in uscita dalla primaria e all’esame di terza media, anche per stimolare su questi temi il confronto professionale tra insegnanti dei vari ordini di scuola”
Del resto come afferma Luca Serianni, linguista e filologo italiano , la colpa non è solo degli studenti, bensì anche di una sorta di fossilizzazione sulla teoria della grammatica italiana che impedisce il padroneggiamento della lingua. A quanto pare il ministro Fornero non era soddisfatto dei metodi di insegnamento utilizzati nelle scuole, perché tali metodologie non sembravano essere in grado di dare una preparazione adeguata agli studenti.
A mio parere la sue affermazioni rispecchiano quella che risulta essere la situazione attuale. Bisognerebbe trovare una nuova metodologia che riesca ad integrare entrambe le cose: la capacità di espressione orale e scritta, tenendo conto di quelle che sono le regole-base della grammatica italiana.
Anche la dichiarazione di Serianni può essere considerata veritiera: infatti, molte carenze degli studenti non sono solo dipese da una mancanza di studio, ma anche dai metodi di insegnamento di ciascun insegnante. Dopo aver effettuato un sondaggio tra gli studenti, è emerso il fatto che molti di loro, seppur studiando in modo assiduo, trovino grande difficoltà di espressione e commettano, a volte, anche errori di sintassi assai gravi.
Gran parte di loro si trova poi pienamente d’accordo con le recenti affermazioni degli esperti, così come anche alcuni insegnanti, da noi intervistati, condividono le stesse preoccupazioni. Essi affermano infatti che la presenza di numerose attività – come l’alternanza scuola-lavoro e i tanti progetti previsti dal POF, svolti durante l’orario scolastico – vengono spesso a limitare il corretto svolgimento di una didattica continua, rallentando notevolmente i programmi ministeriali.
Dovendo fare un paragone con il passato e i suoi diversi metodi di insegnamento, quando l’obiettivo principale era l’apprendimento e la presenza di tali attività quasi nulla, la resa dei singoli studenti risultava essere migliore. Anche l’utilizzo degli smartphone, con la conseguente introduzione di numerose parole abbreviate, ha penalizzato, se non addirittura peggiorato, la situazione.
Purtroppo resta difficile far capire agli studenti le loro lacune e si rivela altrettanto difficile colmarle in tempi brevi. Sarebbe opportuno migliorare questo aspetto aiutando ogni studente a capire, tramite esercizi mirati – effettuati in corsi extracurricolari organizzati dalla scuola stessa – le loro debolezze, in modo da poter impartire una migliore preparazione