“L’eredità intellettuale e morale di Aldo Moro costituisce un significativo riferimento di studio e approfondimento per le alunne e gli alunni, le studentesse e gli studenti del nostro Paese”. Così il Ministero dell’Istruzione, che lo ricorda con questa nota
Aldo Moro: il valore della scuola e della cultura in una società libera e democratica
A quarant’anni dalla tragica scomparsa di Aldo Moro, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca intende ricordare la vicenda storica e umana di uno dei protagonisti della storia italiana contemporanea, per approfondire eventi fondamentali del nostro passato e per avvalorare tra le giovani generazioni il significato di una vita vissuta all’insegna del rispetto delle istituzioni repubblicane e della persona umana.
La sua figura di uomo di Stato emerge già alla fine della seconda guerra mondiale, quando nel 1946 Moro è eletto all’Assemblea Costituente come rappresentante della Democrazia Cristiana edentra a far parte della Commissione dei Settantacinque che ha il compito di redigere il testo costituzionale.
Da antifascista, democratico e cattolico il suo ruolo appare fondamentale nella definizione di quei principi che innervano la nostra carta costituzionale per costruire e ri-costruire sulla base dei valori di libertà, giustizia e solidarietà il tessuto morale e civile degli italiani, lacerato dalla dittatura fascista prima e dall’atroce conflitto mondiale poi.
Negli anni successivi, ricopre alcuni fra gli incarichi governativi più importanti, compreso quello di Ministro della Pubblica Istruzione tra il maggio 1957 e il febbraio 1959, con il merito di introdurre l’educazione civica come materia di insegnamento nelle scuole medie, ritenuta indispensabile per formare fin dai banchi di scuola cittadini democratici e consapevoli, capaci di interpretare e realizzare una società aperta, plurale e democratica.
L’attenzione alle esigenze delle studentesse e degli studenti e l’ascolto dei problemi dei giovani accompagnano in modo costante l’attività di Moro anche durante i momenti di massimo impegno politico e istituzionale come Presidente del Consiglio nel periodo del centro-sinistra “organico” (1963-1968) e negli anni dei governi di solidarietà nazionale (1976-1978).
Uomo politico capace di coltivare strategie di ampio respiro, con lucida sensibilità avverte la maturazione di una gioventù che vuole sentirsi protagonista delle dinamiche della società e comprende il crescente fenomeno del disagio giovanile.
Ecco le sue parole durante l’intervento del 19 marzo 1968 a Bologna nel convegno nazionale del Movimento giovanile della Democrazia Cristiana.
«Ed io sono qui, per dirvi che sentiamo questa vostra maturità e presenza, che abbiamo fiducia in voi, che cogliamo i tanti problemi che i giovani propongono, che siamo pronti a lavorare in ogni campo, perché si dia risposta ad ogni interrogativo e sia soddisfatta, nei limiti delle nostre possibilità, ogni vostra legittima esigenza. […]
È segno questo della crescente partecipazione dei giovani, in posizione di responsabilità, alla vita culturale, sociale e politica del Paese. Essi non sono più solo destinatari di provvidenze, passivi beneficiari di una iniziativa burocratica dello Stato, in questo caso veramente inconcepibile. Invece, secondo una concezione moderna e democratica della società e dello Stato, i giovani sono, per la loro parte, protagonisti, gestori dei propri interessi, custodi dei propri ideali, liberi creatori del proprio avvenire e, in definitiva, di quello del Paese».
Il dialogo e il confronto con i giovani si alimentano anche grazie alla sua professione di docente universitario, intrapresa negli anni ’30 subito dopo la laurea nella Facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Bari e proseguita poi presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma fino al giorno del suo rapimento, quando nell’auto abbandonata viene ritrovata, tra le carte scompaginate, anche la tesi di laurea di uno dei suoi tanti studenti che aveva educato e formato al riconoscimento dell’altro e alla ricerca del bene comune nel segno di una profonda umanità.
Il suo insegnamento e la sua testimonianza, ancora oggi attuali per rispondere alle sfide della società contemporanea, scuotono la coscienza di quanti hanno a cuore la sorte dei nostri ragazzi e dell’Italia.
Alla luce di questo pensiero di Aldo Moro si invita la comunità educante a riflettere sul ruolo dell’istruzione, dell’educazione e della formazione per una scuola del rispetto reciproco e per una società fondata sui diritti inalienabili dell’uomo, dedicando nella giornata del 9 maggio momenti di ricerca e lettura di saggi dagli scritti e discorsi dello statista scomparso.
«Mi pare in sostanza che nel nostro Paese non vi sia ancora, e si debba invece creare quello stato d’animo che si dispone a rendere omaggio all’infanzia ed all’adolescenza come espressione della vita che cresce e, crescendo, si corregge di vecchi errori e si afferma in nuova verità ed umanità.
Per i giovani c’è nel nostro Paese tenerezza e cura, ma essi non sono come dovrebbero, il centro della vita, coloro ai quali si subordina ogni interesse, coloro che rappresentano la parte migliore di noi e nei quali soltanto perciò la nostra vita si compie e assume pieno valore».
(da Scuola ai margini, discorso presso Iniziativa democratica, gennaio 1952, in A. Moro, Scritti e discorsi, a cura di G. Rossini, 6 voll., Roma, Cinque Lune, 1982-1990, II, pp. 539-540)