In occasione dei 500 anni dalla scomparsa del grande Maestro, La voce del Leonardo ha avuto l’onore di intervistarlo in esclusiva assoluta. Ecco cosa ci ha detto….
di Marta Venanzi
La notte a Firenze è uno dei panorami più belli del mondo. Alla mia sinistra, l’Arno con il riflesso chiaro della Luna mi fa brillare gli occhi e, alla mia destra, la Galleria degli Uffizi che erge fiera mi dà la sicurezza necessaria.
Mi avvicino piano al luogo previsto. Sistemo la giacca e alzo lo sguardo sul volto di una donna che aspetta sulla soglia. Il suo viso mi fa rilassare, i suoi tratti sono vagamente familiari. Le sorrido mentre mi conduce in un corridoio davvero ampio, completamente spoglio. Quando raggiungiamo l’atrio, rimango senza parole: le pareti sono interamente affrescate, i colori vivi tanto da far sembrare umane le figure.
“Buonasera” dice una voce baritonale, solida come roccia. Il suo sguardo sembra esaminarmi nel profondo, tiene le mani giunte accanto alla bocca. Indossa un lucco tipico del ‘400 di tessuto nero e l’eleganza con cui lo porta mi lascia senza fiato: soltanto Leonardo Da Vinci può essere la fusione della fierezza con l’umiltà.
Prima che possa aprir bocca per salutarlo nel modo più cordiale che trovi, chiede: “chi le ricorda?”. Il suo sguardo segue la figura della donna, che si ritira in una stanza. Cercando di non balbettare, rispondo: “La donna dell’opera Belle Ferronnière. Uno dei vostri quadri più belli, maestro. Non saprei spiegarvi a parole quanto vi sono grata per aver accettato di effettuare questa intervista …”. Mi liquida con un gesto della mano prima che possa dire altro, ma dietro la sua lunga e candida barba scorgo un sorrisetto divertito e mi invita a sedermi su una poltrona davanti a lui. Risposta esatta, presumo.
Mi schiarisco la voce. Mi sento piuttosto a disagio con un uomo tanto straordinario, che mi irrigidisco e non riesco a emettere alcun suono. “Noto la sua tensione, signorina. Mi lusinga che esistano ancora persone affascinate dalla mia presenza, ma non deve essere così nervosa”. Nella mia mente comprendo che tutto ciò che avrei voluto chiedere a Leonardo Da Vinci, mi è possibile pronunciarlo a voce alta. Dopo cinquecento anni non va scomodato per niente.
“Devo essere sincera con voi, mi aspettavo di dovervi incontrare ad Anchiano, dove siete nato. Sapete che la vostra casa d’infanzia è ora oggetto di visite turistiche?”
“Ne sono a conoscenza, sì. Ed è esattamente il motivo per il quale ho scelto di abitare qui, e di incontrarla tra queste mura. Nonostante Firenze sia, come può ben vedere, più affollata di Anchiano, in questa casa si respira una calma deliziosa. Non potrei trovarla tra tutti quei turisti” alza lo sguardo e lo punta sul mio raccoglitore, dal quale spuntano fogli disordinati. Cerco di sistemarli, senza successo.
“Quindi siete un uomo solitario?”
“Nel mio tempo, quando avevo più o meno la sua età, adoravo circondarmi di persone, di storie nuove. E non sono cambiato: mi stupisco ancora della bellezza, la perfezione e la varietà dell’universo. Pertanto no, non mi considero assolutamente una persona solitaria, quanto un uomo che non sopporterebbe una calca di persone che cercano di fotografare con i loro cellulari ultramoderni la sua figura anche mentre si trova alla toilette”. Mi scappa una risata timida.
“Potreste dirmi la vostra opinione riguardo i cellulari?”
Si alza in piedi con molta grazia e accarezza con le dita uno dei volti dipinti alle pareti. La figura snella e delicata di un fanciullo, con i suoi stessi occhi. “Sono consapevole che il giovane Da Vinci ne sarebbe rimasto affascinato. Tutte queste comunicazioni tra culture diverse … è anche vero che lui era molto ingenuo e curioso, innamorato del progresso tanto da non vederne gli svantaggi. Adesso ritengo che da una parte siano geniali, davvero, dall’altra sono un uomo che non sopporta l’eccesso. Tutta questa comodità e questo utilizzo sconsiderato del web non permette all’uomo di pensare con la sua testa, di ragionare. Sa qual è il problema principale dell’essere umano?”
“Che gli piace farsi trovare il piatto pronto?”
“Esattamente. Dopo un aggiornamento così ampio del modo di essere, spesso si è portati a non riuscire a vedere altro, ci si lascia trasportare e non c’è più via d’uscita. Non voglio fare l’antico, che si lamenta con i nipoti dicendo che ai suoi tempi per cercare qualcosa bisognava andare in biblioteca, cercare tra milioni di libri e, alla fine, rispondersi da soli” imposta la sua voce con fare teatrale “ma è precisamente così che stanno le cose”.
Annuisco e non posso fare a meno di notare il terrazzo alle sue spalle. È molto piccolo, ma offre un panorama di stelle spettacolare.
“Un’ottima idea” mi dice, sorridendo “si discute molto meglio illuminati dal cielo notturno”
Quando appoggiamo le braccia sul bordo del terrazzo, posso notare i suoi lineamenti addolciti dalla vista. Fa un sospiro, come di sollievo.
“Sa, sono sempre stato appassionato di astronomia. Del cielo, in generale. Quando ero molto piccolo, sognavo di riuscire a volare tra le nuvole e scoprire cosa c’è dopo” Fa una pausa e sorride malinconico, come se scorgesse tra i ricordi la sua figura bambinesca fantasticare. “Non ha idea di quanto mi abbia reso felice, dopo aver dedicato anima e corpo a tutti i miei studi e progetti, vedere i primi aerei, i primi elicotteri. È la prova che l’uomo può andare oltre se stesso, oltre ciò che c’è, come ha detto lei prima, nel piatto pronto. Per questo mi capita di infuriarmi, soprattutto per quest’ultima generazione. C’è ancora tanto da scoprire…”
Una scintilla passa nei suoi occhi, e la sua barba mossa dal vento gli dona un aspetto eroico. D’un tratto mi ricorda Ulisse, la figura impavida che ha come scopo quello di scoprire la Terra, anche se si può rimanere prigionieri. “La maggior parte di questo mondo non ci sarebbe, senza di voi” gli dico.
“Mi auguro che un giorno ci sareste arrivati da soli” ride, e io con lui. Poi, assumendo un’espressione più seria, dice a voce bassa: “Pensi a tutti gli scienziati moderni, che creano armi di distruzione di massa come fossero elementi di prima necessità. Non si può spiegare a parole quanto io sia disgustato dalla creazione, per esempio, di bombe nucleari. Quando sono state lanciate, alla fine della seconda guerra mondiale, non ero principalmente deluso dalle persone che le avevano usate, bensì da chi le aveva progettate, capisce? Io, da amante della scienza quale sono, non avrei potuto ideare un abominio simile per poi addirittura donarlo per l’utilizzo. Noi scienziati abbiamo sempre avuto grandi responsabilità, e in poco tempo sono state sgretolate per denaro”. Nei suoi occhi leggo tutta la rabbia che prova nei confronti dell’ingiustizia. Sembra che voglia tenere il mondo intero sotto le sue ali protettrici, come se in un certo senso gli appartenesse …
Tornati in casa, gli chiedo: “come mai spesso usavate linguaggi in codice o scrivevate da destra a sinistra nei suoi documenti di studio?”. Lo vedo irrigidirsi un poco, per un attimo impercettibile, dopodiché assume un’espressione piuttosto mite, e mi risponde guardandomi negli occhi: “gli scienziati hanno bisogno di un po’ di mistero. Sono talmente legati a ciò che scoprono, che osservano crescere, in un certo senso, che alla fine vogliono che almeno una parte di quello rimanga segreta, oscura all’esterno. Ci sono tante cose che non sa di me, e che non ho intenzione di farle sapere. Ognuno ha i suoi piccoli dettagli intimi, che conserva solo per sé”.
“Sono d’accordo” gli dico, sorridendo. “Sa, la scuola che frequento porta il suo nome, e il giornale per il quale scrivo si chiama Voce Del Leonardo” punto lo sguardo in basso.
“Ne sono onorato, davvero. La scuola è il passaggio necessario per poter creare nuove idee e pensare da un diverso punto di vista”.
Credo sia il momento di congedarmi, così gli porgo la mano in segno di saluto cordiale. Mentre la stringe forte, mi sussurra: “Voi potete cambiare il mondo. Fatelo anche per me. Mi piange il cuore quando vedo questo pianeta distrutto dal cambiamento climatico, dall’inquinamento. Non è troppo tardi se si comincia a impegnarsi da subito. Non bisogna arrendersi, l’universo è talmente grande e pieno di soluzioni… Trovatele”. Lo guardo. “Grazie per essere stato con noi. La voce del Leonardo è onorata, davvero. Arrivederci, maestro”
“Arrivederci, ragazzi. Pensate in grande anche per me”