Con l’annuncio dell’addio di De Rossi alla Roma, il calcio si prepara a voltare pagina, perdendo una delle ultime bandiere ancora in attività
di Flavio Di Lernia
Daniele De Rossi, romano e romanista, ha da poco annunciato di lasciare la Roma alla fine della stagione, pietrificando tutta la tifoseria giallorossa. Lo stesso giorno dell’annuncio ha avuto luogo la sua ultima conferenza stampa a Trigoria, nella quale sono nate numerose discussioni contro la società che non ha voluto rinnovare il contratto a colui che in 18 anni ha sempre dato il meglio di sé per la sua squadra
Dedicare un’intera carriera ad una sola squadra non è molto comune: campioni, leggende come Maldini, Totti, Baresi, Zanetti, Pelè, Del Piero, Buffon e tanti altri rimarranno nella storia del calcio per sempre.
La piazza romana dovrà quindi sopportare un altro addio dopo quello di Totti nel 2017, così facendo De Rossi darà in eredità la pesantissima fascia da capitano ad Alessandro Florenzi, altra futura bandiera romana e romanista
La sua non è una storia strappalacrime, non è una trama intricata, non è un film d’epoca. È una favola lunga diciotto anni con un insegnamento ben preciso: onora il tuo popolo in tutti i modi possibili. Il gladiatore protagonista non ha vinto tutte le battaglie, ma ad ogni caduta ha saputo risollevare da terra sé e i suoi fratelli con la stessa grinta di quando era ancora un “piccolo sceriffo”
Quella grinta che sin da ragazzino aveva mostrato al re di Roma con il numero 10 sulle spalle, e che l’ha reso, ben presto, Imperatore. Questa è la favola di Daniele De Rossi: da sceriffo di Ostia a Imperatore di Roma
Daniele De Rossi muove i suoi primi passi all’Ostiamare, la squadra della sua città, dove da tifoso della Roma, impressiona già a nove anni gli osservatori giallorossi, che lo chiamano nella Capitale. Il ragazzino, da vero leader, non abbandona i suoi compagni e decide di rifiutare ed aspettare ancora qualche anno prima di raggiungere il padre Alberto, allenatore della squadra Primavera, alla Roma
La vera storia d’amore comincia il 30 ottobre 2001, quando esordisce con il numero 26 sulle spalle in una sfida di Champions League. Non è però da quel momento che il giallorosso diventa la sua seconda pelle: Daniele è nato con quei colori cuciti addosso. Questo il popolo romano lo sa. E ben presto incorona il ragazzino di Ostia come bandiera indiscussa del club capitolino. A soli 22 anni indossa per la prima volta la fascia di capitano, diventando negli anni il vice di un monumento come Francesco Totti
Il gladiatore romano ha da sempre preso ispirazione da Roy Keane, centrocampista leggendario e conosciuto per la sua grinta, aggressività e un pizzico di sana follia. De Rossi diventa piano piano un qualcosa di immenso per il calcio italiano, facendo sognare un intero popolo, con qualche errore annesso: l’episodio che lo rende protagonista nel Mondiale del 2006 con l’espulsione contro gli Stati Uniti, lo tenne fuori per tutto il torneo a parte che la finale, dove si fece perdonare segnando uno dei cinque rigori contro la Francia, vincendo la coppa
Daniele è sempre più simbolo, e dimostra sempre negli anni di vivere un’empatia senza precedenti con il suo popolo e con la sua Roma. Le voci di offerte allettanti (Manchester United, Real Madrid tra le altre) non lo distolgono nemmeno per un attimo dal suo amore per i colori giallorossi. Il suo unico rammarico è quello di poter donare solo una carriera alla Roma. E decide di non abbandonare quella maglia
Non vuole farlo nemmeno nel 2019, quando però beffardo sarà il destino. Non è solo il popolo romano ad esser stato ferito dall’addio forzato di Daniele De Rossi dalla Magica. È il mondo del calcio, quello delle tifoserie, quello dei bar ad essere deluso. Deluso da uno sport che non è più delle bandiere e della passione, ma di freddi exploit economici
Oggi però non c’è il tempo di riflettere, di pensare o di giudicare. Oggi c’è da capire la morale di una favola senza precedenti: anche un piccolo Sceriffo può diventare un eterno Imperatore