I campi di concentramento esistono ancora? Negli ultimi anni notizie sconvolgenti hanno portato alla luce quella che per molti è ancora una realtà nascosta
di Giulia Nenne Athie
Oggigiorno ci sembra pazzesco anche solo pensare che ci possano ancora essere dei campi di concentramento, ovvero strutture carcerarie dove vengono reclusi civili o militari. Nonostante la nostra incredulità, però ne esistono vari di cui molto spesso non si conosce l’esistenza a causa della poca informazione data dai mass media.
Ho deciso di parlare di tre dei più grandi campi di concentramento presenti al giorno d’oggi, che sono luogo di discriminazione di orientamento sessuale, religione ed etnia, situati rispettivamente in Cecenia, Cina e Libia.
In Cecenia, a partire dal 2017, gli omosessuali vengono sequestrati e portati nel campo di concentramento che si trova nella citta di Argun senza altre ragioni che quelle della discriminazione, dove vengono privati dei documenti in modo che non possano lasciare il paese. Qui i prigionieri sono vittime di torture, vengono forzati a svolgere lavori a temperature bassissime e a convivere con le violenze e gli insulti impartiti loro dai secondini.
Nonostante questo fenomeno sia iniziato nel 2017, già da prima in Russia era presente un’ostilità verso gli appartenenti al movimento LGBTQ+. Esempio di questa discriminazione è stata la legge sulla propaganda gay con la quale si vieta la diffusione ai bambini di informazioni su omosessuali, transessuali e bisessuali. Lo scopo dichiarato del governo russo era quello di proteggere i bambini dalla concezione che le coppie omosessuali rientrassero nella normalità, proteggendo così i valori della famiglia tradizionale.
L’ultima ondata registrata di reclusioni, durante la quale sono stati detenuti illegalmente 40 tra uomini e donne, è avvenuta nel 2018. La ONG lgbtq+ russa sta aiutando molti omosessuali a fuggire dallo Stato, favorendo il loro ingresso in paesi più sicuri.
Un secondo caso di cui voglio parlare è quello dei lager libici. I conflitti e gli sconvolgimenti politico-sociali derivati dal fenomeno delle “primavere arabe” scoppiate nel 2011, il sistema del mercato globale che sta causando il collasso di molte economie di sussistenza, i cambiamenti climatici e l’apertura di nuovi fronti di guerra in Africa hanno inevitabilmente prodotto un aumento dei flussi migratori verso l’Europa e quest’ultima non è riuscita ad essere d’accoglienza.
Già nel 2008 l’Italia stipuló un accordo con Gheddafi per tenere sotto controllo i flussi migratori. Nel 2011 con la morte di Gheddafi il paese si ritrovò senza Stato e senza apparato di sicurezza e la Libia di oggi è lacerata da lotte di potere condotte in totale impunità da tante milizie che impediscono la ricostruzione di uno stato democratico.
La situazione non ha fatto che aggravarsi quando nel 2017 il governo Gentiloni ha stretto un patto, finanziato dall’UE, con la Libia. Questo patto sanciva l’impegno dell’UE a finanziare la guardia costiera libica, ma in assenza di un potere centrale i soldi forniti dall’Unione Europea sono andati spesso nelle mani di associazioni malavitose che con questi soldi finanziano i lager libici dove sono rinchiusi numerevoli migranti e abitanti del paese. I migranti rinchiusi nei lager sono soggetti a violenze e torture, dalle bastonate all’elettroshock. Il livello igienico sanitario in quelle che sono vere e proprie prigioni è bassissimo e spesso i migranti vengono privati di cibo, acqua e assistenza medica.
Il terzo caso di cui parlo è quello della Cina, repubblica comunista che sin dall’inizio non ha mai apprezzato nessun tipo di minoranza. In particolare negli ultimi anni si è creata un’ostilità cinese verso gli Uiguri, una minoranza etnica di religione musulmana che vive nello Xinjiang, una regione nel nord-ovest cinese.
Nel 2017 Pechino, con la scusa di impegnarsi nella lotta al terrorismo, ha avviato la politica della “terra bruciata” per bloccare possibili influenze pakistane o afghane, entrambe popolazioni musulmane come gli Uiguiri. Questa legge ha comportato una riduzione della libertà di culto talmente drastica che agli Uiguri è vietato perfino digiunare nel mese del Ramadan o anche soltanto essere in possesso del Corano.
Questa legge è stata inoltre utilizzata dal governo cinese per giustificare i campi di rieducazione, stabilimenti nei quali i detenuti sono malnutriti, maltrattati e forzati ad ascoltare conferenze, cantare inni, a elogiare il Partito Comunista cinese e scrivere saggi di “autocritica”, con lo scopo di eliminare ogni devozione all’Islam.
Il 21 marzo 2019 la città di Roma è stata blindata a causa dell’arrivo del presidente cinese. Xi Jinping si è recato nella capitale, che ha scelto come prima tappa del suo viaggio in Europa, per firmare il memorandum d’intesa sulla nuova “Via della seta”. I motivi per cui ho deciso di parlare della visita del presidente cinese in questo articolo sono due.
Il primo sono le manifestazioni che sono avvenute nei giorni di soggiorno a Roma di Xi Jinping contro i campi di rieducazione. Per i cittadini cinesi non è facile manifestare nel loro paese d’origine e per questo molti attivisti si sono fatti sentire al di fuori dal loro paese natale. Il secondo motivo per cui cito la visita del presidente cinese è che il progetto della nuova “Via della seta” nasconde varie violazioni dei diritti umani. Infatti questa passa nello Xinjiang, ossia la regione in cui vivono gli Uiguri, che rappresenta un crocevia strategico per il progetto che porterebbe nelle casse della Cina approssimativamente un trilione di dollari.