Attivista per la difesa dell’ambiente e dei diritti delle donne, è stata la prima donna africana a ricevere il premio Nobel per la pace
di Giulia Nenne Athie
Nata nel 1940 in un piccolo villaggio keniota, Wangari Mathaai riesce – grazie alla prontezza del fratello che convince la famiglia – ad entrare alla scuola elementare Santa Cecilia nei pressi di Nyeri e, questa volta grazie alla sua bravura, a continuare gli studi. Finito il liceo, Maathai riesce ad ottenere una borsa di studio e parte per l’America dove si laureerà in biologia.
Terminato il suo dottorato, ritorna nel suo paese natale dove inizia a collaborare con il Consiglio nazionale delle donne in Kenya. Grazie a quest’ultimo, Maathai ha la possibilità di confrontarsi con donne di tutto il paese e capisce che molte delle difficoltà incontrate dagli abitanti dei villaggi kenioti sono legate a problemi di tipo ambientale.
Wangari Maathai capì che piantando alberi molti dei problemi potevano essere arginati: con l’aumento degli alberi si sarebbe ottenuta più legna per il fuoco, cibo per il bestiame e il suolo sarebbe stato più stabile e quindi i villaggi meno soggetti ad inondazioni. Così nel 1977 diede inizio al movimento “Green Belt”.
Questa associazione, composta principalmente da donne provenienti da zone rurali del Kenya, aveva lo scopo di insegnare alle donne come piantare alberi e prendersi cura dei vivai. Il movimento fu aiutato più volte dalle Nazioni Unite: nel 1981 ricevette il suo primo finanziamento da parte di UNIFEM, fondo di sviluppo dell’ONU per le donne, che fornì le risorse per comprare i semi.
“Green Belt” fu aiutato anche dall’UNEP, programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, che nel 1986 la aiutò a fondare il “Pan African Green Belt Network”, permettendo alle attiviste di diffondere il loro metodo di prevenzione dell’ambiente in altri paesi africani.
Le donne che insieme a Maathai giravano per il paese vennero prese di mira dal presidente keniota di allora, Daniel Arap Moi, che le fece imprigionare a più riprese. Il presidente era infastidito dalle attiviste che molto spesso piantavano alberi in zone che lui aveva designato per la costruzione di nuovi palazzi o campi sportivi per se stesso ed i suoi amici.
Nonostante questa opposizione da parte dell’unico partito politico riconosciuto in Kenya, il movimento “Green Belt” non si lasciò fermare e continuò a lottare, difeso più volte da ONG e politici stranieri come Al Gore, non solo contro la cementificazione ma anche per i diritti umani.
L’ostilità contro Wangari Maathai terminò nel 2002 con le prime elezioni parlamentari democratiche del Kenya, grazie alle quali l’attivista venne eletta ministro dell’ambiente. “Non ci può essere pace senza uno sviluppo equo, e non ci può essere sviluppo senza una gestione sostenibile dell’ambiente in uno spazio democratico e pacifico”: sono queste le parole che Maathai disse nel suo discorso quando le venne consegnato il premio Nobel per la pace nel 2004.
Nei suoi ultimi anni di vita l’attivista combatté contro il cancro, ma continuò a battersi per la sua causa e il programma “Green Belt” entrò a far parte del programma ambientale delle Nazioni Unite. Wangari Mathaai morì nel 2011, lasciando in eredità un paese migliorato dalle sue riforme e un movimento pronto a lottare per la difesa dell’ambiente