Da anni si parla dei cambiamenti climatici, ma forse stavolta potrebbe cambiare qualcosa, grazie a un valido movimento d’opinione sui temi ecologici e ambientali
La redazione
Il tema del riscaldamento globale è tornato prepotentemente alla ribalta in questi ultimi tempi e da più parti si sono levate voci di allarme: non solo dalla comunità scientifica, ma anche dalla società civile, come dimostra il caso di Greta Thunberg, esploso in questi anni in senso mediatico e politico.
Non è certo la prima volta che si parla a vari livelli di buco dell’ozono, inquinamento e cambiamenti climatici, ma forse stavolta potrebbe aprirsi una piccola breccia nella coscienza di tutti noi, grazie anche ad alcuni documentari che possono contribuire a creare un valido movimento d’opinione in merito ai temi ecologici e ambientali.
Leonardo Di Caprio, ad esempio, ha deciso nel 2016 di sfruttare tutta la sua fama a beneficio del pianeta, diventando testimonial della lotta al riscaldamento globale con il suo “Before the flood – Punto di non ritorno”, che affronta in modo chiaro e diretto il tema della contaminazione atmosferica, dovuta essenzialmente ai combustibili fossili, e del conseguente “effetto serra”.
Sulla stessa linea si muove anche un altro documentario che ha fatto scalpore nel 2014, ma su un versante diverso: “Cowspiracy – Il segreto della sostenibilità”, di cui lo stesso Di Caprio è stato produttore.
Il punto di partenza è sempre lo stesso – la lotta ai cambiamenti climatici, all’inquinamento e alla deforestazione, nonché la corretta gestione delle risorse naturali – ma diversa è la soluzione: per gli autori di “Cowspiracy” (come lo stesso gioco di parole del titolo richiama) il pericolo maggiore per il futuro della Terra è rappresentato dagli allevamenti intensivi di animali, in special modo i bovini.
Questi produrrebbero – a causa del loro essere ruminanti e quindi con una digestione del tutto particolare – un’enorme quantità di un gas altamente inquinante per l’atmosfera come il metano CH4, senza contare l’eccessivo dispendio di risorse in termini di “water footprint” (vale a dire l’impatto idrico sull’ambiente) e di raccolti destinati all’allevamento e quindi sottratti al consumo umano.
Secondo un rapporto FAO (la Food & Agriculture Organization delle Nazioni Unite), infatti, nel 2006 le superfici coltivabili della Terra erano destinate per il 69% al pascolo e solo per il 31% all’agricoltura.
Uno squilibrio funzionale che, unitamente agli altri fattori di rischio evidenziati in modo drammatico da “Before the flood” e tutti connessi al tema del global warming, fa sì che il tema dell’effetto-serra (ovvero l’anomalo incremento della temperatura media del pianeta) si configuri come la vera calamità per il futuro, tra innalzamento del livello degli oceani (e successive inondazioni), deforestazione (con riduzione dell’ossigeno disponibile e aumento di anidride carbonica) e progressiva desertificazione, che porta alla riduzione dei terreni fertili con conseguenti carestie, migrazioni, rivolte e possibili guerre a sfondo alimentare.
Il quadro, come si vede, è davvero globale, perché il problema del clima non ha solo implicazioni scientifiche, ma comporta radicali trasformazioni in ogni aspetto della nostra vita, sia a livello personale che sociale.
E qui sta, a nostro parere, il nocciolo del problema: la coscienza individuale e la volontà di agire in prima persona, quella che deve nascere innanzi tutto dalla conoscenza del problema.
A poco sono valsi, infatti, i tentativi di accordi internazionali finora messi in atto per porre un freno al surriscaldamento, come il Summit della Terra (Rio, 1992), il Protocollo di Kyoto del 1997, la Conferenza di Copenaghen del 2009 e il recente Accordo di Parigi del 2015, che ha stabilito di arrivare a una quota di “emissioni zero” a partire dal 2030, data stabilita come effettivo “punto di non ritorno”.
L’azione deve nascere dalle persone, anche se indubbiamente l’aspetto di una corretta e chiara informazione non è affatto secondario, vista l’interferenza delle lobby legate ai combustibili fossili e al settore agro-alimentare, che porta a un diffuso negazionismo: il disastro ambientale viene spesso ridotto a livello di fake news, con il concorso dei mass-media e di esperti al soldo dei colossi industriali, e l’opinione pubblica chiaramente ne esce incerta e confusa.
Gli indizi negativi invece esistono e – se a volte l’allarmismo può suonare anche eccessivo – di certo c’è che l’inquinamento della biosfera è un dato di fatto a tutti i livelli, che è impossibile negare e nemmeno sottovalutare: perché il problema è grave e di tempo non ce n’è più.
Sapere, dunque, dovrebbe voler dire essere pronti ad agire, in nome di un futuro sostenibile e delle generazioni che verranno. È troppo facile pensare solo al presente e disinteressarsi del problema, cosa che è poi l’errore che molti giovani – noi tutti, nessuno escluso – spesso commettono.
In realtà, contrastare davvero il riscaldamento globale vorrebbe dire imporre una radicale trasformazione alla nostra società, con contraccolpi economici, sociali e sulla nostra vita quotidiana che probabilmente nessuna nazione è disposta a sopportare: abbandonare il petrolio e i suoi combustibili, sviluppare energie pulite e compatibili con l’ambiente, modificare i nostri stili di vita, anche nel campo dei consumi e soprattutto in quello alimentare (ad esempio limitando da subito il consumo di carne)…
Solo una forte coscienza “verde”, non di facciata ma effettivamente sentita e condivisa, al di là delle mode e delle ideologie, potrà portare forse a un tale risultato e chissà se, dopo Leonardo Di Caprio, la piccola Greta riuscirà in questo miracolo…