Buon Natale a tutti, certo. A proposito, ma siamo davvero sicuri che Gesù sia nato il 25 dicembre? E se invece la “buona novella” fosse avvolta di tanti enigmi storici e religiosi?
di Riccardo M. De Paoli
Anche quest’anno, la notte di Natale è risuonato in tutte le chiese del mondo l’antichissimo canto della Kalenda, in cui si annuncia la nascita di Cristo, che sarebbe avvenuta nel quarantaduesimo anno di impero di Cesare Augusto.
Ma davvero Gesù è nato la notte del 25 dicembre di quell’anno?
Andiamo con ordine, anche se pure tutto appare a prima vista molto chiaro: rifacendoci al racconto presente nel Vangelo di Luca (2,1-4), leggiamo che la nascita di Gesù avvenne in occasione di un censimento degli abitanti della Palestina, effettuato su ordine di Augusto, mentre era governatore della Siria P. Sulpicio Quirinio. La Palestina era infatti allora solo teoricamente un regno autonomo, governato dal famoso Erode il Grande, ma in realtà soggetto ormai alla tutela romana e a quella del governatore di Siria in particolare.
Tutto a posto allora? Non proprio, perché sulla data del censimento non c’è affatto unanimità tra gli studiosi: infatti, quello di cui parla l’evangelista (senza datarlo esattamente) non è riportato da alcuna fonte antica, mentre ne viene ricordato un altro, organizzato nell’8 d.C., quando Quirinio era appunto governatore di Siria.
In realtà, all’inizio del suo vangelo, Luca parla di un primo censimento, mentre in At 5,37 ne ricorda un altro, databile questo all’8 d.C., causa dello scoppio di una rivolta da parte degli Ebrei sedata a fatica dai Romani (i fatti sono narrati da Giuseppe Flavio in Ant. Jud. XVII e 355 e XVIII, 1-3). Questi ultimi infatti nel 6 d.C. avevano deposto il re Archelao, figlio di Erode il Grande, e inviato Quirinio, nuovo governatore, ad occuparne la parte di territorio che sarebbe stata poi annessa alla provincia di Siria col nome di Judea. E per poter organizzare al meglio l’esazione dei tributi da questi nuovi possedimenti, ne fu organizzato un censimento, che si svolse nell’8 d.C. sotto l’amministrazione di Coponio, primo procuratore imperiale di rango equestre (dopo di lui ve ne furono altri fino al più famoso tra loro, Ponzio Pilato: questa però è un’altra storia…).
Ma allora a quale censimento fa riferimento Luca a proposito della nascita di Gesù? Non possiamo assolutamente fissarne la nascita all’8 d.C., perché ciò contrasterebbe con tutti gli altri dati in nostro possesso: come conciliare, ad esempio, il fatto che si narri che Giovanni Battista avrebbe cominciato a predicare nel XV anno di regno di Tiberio, cioè nel 28-29, quando Gesù avrebbe avuto circa trent’anni? Oppure il fatto che il processo e la morte di Gesù si porrebbero quando Ponzio Pilato era stato già richiamato definitivamente a Roma?
A complicare le cose, abbiamo una testimonianza di Tertulliano, il famoso apologeta di III secolo, il quale ricorda un censimento della Giudea sub Augusto… per Sentium Saturninum (Adversus Marcionem, 4,19,10), organizzato quindi dal governatore della Siria tra il 9 e il 6 a.C. Un altro censimento quindi? Come uscire da questa situazione confusa?
Naturalmente gli studiosi hanno opinioni molto diverse in merito, ma una delle proposte oggi più condivise è quella di pensare che un primo censimento sia stato appunto indetto quand’era governatore della Siria Senzio Saturnino: Erode, re alleato dei Romani, era stato evidentemente costretto ad autorizzare il censimento del suo regno per compiacere Augusto o perché da lui imposto. Questo potrebbe essere il primo censimento dell’8-7 a.C., gestito in Siria e Giudea da Quirinio, investito di un mandato particolare, e come tale ricordato dagli Ebrei e da Luca, mentre Senzio Saturnino era effettivo governatore.
Di Quirinio sappiamo (Tacito, Annales III,8) che, proveniente da una umile famiglia di Lanuvio, grazie ai suoi meriti, aveva ricoperto con successo importanti incarichi fino a diventare proconsole di Creta e Cirene e console nel 12 a.C.; in seguito, grazie alla grande fiducia che Augusto riponeva in lui, aveva seguito Gaio Cesare, nipote dell’imperatore, come consigliere nella sua missione in Oriente presso i Parti. Durante questi anni, rivestendo una carica che riesce ancora difficile determinare con certezza, sconfisse in Siria gli Homanades meritando gli ornamenti trionfali. Dal 6 d.C. ebbe l’incarico di governatore di Siria e nulla più sappiamo di lui fino alla morte avvenuta nel 21 d.C.: il suo funerale, per ordine di Tiberio, fu organizzato a spese dello Stato. A questo punto, appare credibile che il nostro Quirinio, proprio mentre era al fianco di Gaio Cesare, abbia potuto svolgere qualche incarico particolare in Siria, come quello di organizzare il nostro censimento.
A conferma della storicità di questo episodio esistono anche due interessanti epigrafi: la prima (CIL III, 6687, conservata ora al museo archeologico di Venezia) ricorda la carriera militare e politica del cavaliere Quintus Aemilius Secundus, che aveva organizzato il censimento della popolazione della città siriana di Apamea e combattuto in Libano, agli ordini di P. Sulpicio Quirinio, che qualche riga sopra viene ricordato come legatus Augusti per la provincia: se l’epigrafe non ci fornisce alcun dato cronologico preciso, è comunque una conferma della storicità del censimento da lui organizzato. Un’altra epigrafe (CIL XIV, 3613), ritrovata a Tivoli nel 1764 e ora conservata ai musei Vaticani, è altrettanto interessante per la nostra ricerca, perché celebra un personaggio che fu insignito dall’imperatore Augusto del secondo mandato come governatore di Siria. Purtroppo l’epigrafe è mutila e non riusciamo a leggere il nome del dedicatario: quindi, sebbene molti storici l’abbiano attribuita al nostro Quirinio, questa rimane solo un’ipotesi molto suggestiva: ad oggi infatti non abbiamo alcuna prova certa che possa far luce su di un mandato di Quirinio in Siria precedente al 6 d.C.
A questo punto della nostra ricerca, riusciamo a fissare con qualche possibilità la data della nascita di Gesù? Nemmeno gli autori cristiani antichi concordano tra loro e tendono a fissarla per un anno posteriore al 4 a.C., data della morte del re Erode: ma come avrebbe potuto il re, da morto, incontrare i re Magi ed organizzare la strage degli Innocenti? Qualche studioso ha proposto che in realtà Erode non sia morto in quell’anno, ma abbia allora abdicato e trasferito il potere ai figli: si tratta però solo di un’ipotesi e sembra contrastare con quanto ci racconta Giuseppe Flavio sulla sua morte (Bell. Jud. I, 665).
Per concludere, alla luce di quanto abbiamo esaminato finora, la data sulla quale oggi si propende maggiormente è intorno al 7 a.C., in cui si sarebbe svolto questo primo censimento e la stessa in cui avvenne una congiunzione molto luminosa tra Giove, Saturno e la costellazione dei Pesci: si tratta forse della stella ricordata dai Vangeli (non la cometa dei nostri presepi, della quale i testi non parlano affatto)?
Ma da dove deriva allora la data tradizionale che fissa la nascita del bambinello duemilaventuno anni fa?
Sotto il pontificato di papa Giovanni I (523-526), nel pieno del dominio goto in Italia, il monaco scita Dionigi il Piccolo fu incaricato di creare un nuovo calendario cristiano: così non si sarebbero più contati gli anni dalla fondazione di Roma e neppure quelli dalla salita al trono di un imperatore ormai fantasma. Il monaco, solo dopo lunghi anni di calcoli, poté dire che quello che stavano vivendo era l’anno 532 dopo la nascita di Cristo: iniziava così il computo degli anni secondo il calendario che ancora oggi abbiamo in uso, almeno in Occidente. La proposta di Dionigi non fu immediatamente accolta da tutti, ma soprattutto grazie all’opera di Beda il Venerabile (672-735), il nuovo calendario ab incarnatione Domini nostri Jesu Christi si diffuse in tutta Europa. I calcoli di Dionigi non erano stati però del tutto esatti, ma certo ora è troppo tardi per porvi rimedio!
Se pure abbiamo cercato di proporre una datazione plausibile per l’anno di nascita di Cristo, ancor più difficile è conoscere il giorno dell’anno in cui questa avvenne.
Oggi siamo abituati a pensare senza alcun dubbio alla data del 25 dicembre, ma in realtà questa venne quasi universalmente accettata nel mondo cristiano solo nel IV secolo, ufficializzata dal Concilio di Nicea del 325. A Roma era forse già festeggiata nel III secolo, ma solo nel Cronografo Romano del 354 ne abbiamo la prima indicazione (a.d.VIII Kal. Jan. natus Christus in Betleem Judeae, “il 25 Dicembre Cristo è nato a Betlemme di Giudea”). Si tratta però di una data convenzionale o si può fondare su qualche dato oggettivo?
Nulla a proposito dicono i Vangeli, che forniscono indicazioni molto generiche: la notte è fredda e gli animali sono al riparo nella stalla, ma questo non è raro a Betlemme, che si trova a 800 metri di altezza. Non sembra sia piena estate, ma i pastori dormono all’aperto con le loro greggi, seppure intorno ai fuochi. Forse ciò è dovuto al fatto che le pecore dal vello nero venivano considerate impure dagli Ebrei e, a queste e ai loro pastori, non era permesso ritirarsi negli ovili a sera con le altre pecore: da qui la necessità di trascorrere in ogni stagione le notti all’addiaccio. È questo il caso della notte in cui nacque Gesù?
Ultimamente, però, gli studiosi hanno potuto approfondire l’esame di un testo ebraico ritrovato nelle grotte di Qumran, dal quale si è potuta ricostruire la turnazione annuale delle famiglie appartenenti all’ordine sacerdotale presso il Tempio di Gerusalemme: la famiglia cui apparteneva Zaccaria, padre di Giovanni Battista, doveva prestare il suo servizio due volte l’anno, e una di esse alla fine di settembre (come d’altronde riportato in Lc 1,8ss). Proprio in quest’ultima occasione sarebbe avvenuto l’annuncio della maternità di Elisabetta, e conseguentemente confermata la nascita del Battista il 24 giugno e a sua volta quella di Gesù sei mesi dopo.
La data del 25 dicembre sarebbe così salva, ma anche su questo non si è ancora arrivati ad una conclusione condivisa.
Piuttosto è ancora molto forte la teoria che la data della nascita del Cristo sia stata volutamente fissata al 25 dicembre per oscurare quella del dio Sole, il Sol Invictus (immagine a fianco, che raffigura il “Cristo Sole”), che appunto veniva festeggiata in quei giorni. Il culto monoteista di questa divinità era già stato introdotto con scarso successo a Roma da Eliogabalo (218-222), ma sarà soprattutto Aureliano (270-75) che cercherà di imporlo come culto di stato, dedicando al Sole un grande tempio in Campo Marzio (nella zona dell’attuale Piazza San Silvestro). Il dies natalis Solis Invicti si poneva così quasi ad ideale conclusione dei Saturnali, una delle feste più antiche ed amate dai Romani, che si svolgevano dal 17 al 23 dicembre, in occasione della quale si usava scambiare doni (le strennae).
Certamente questo obbiettivo di cristianizzare feste e consuetudini popolari, ma anche luoghi di culto, fu perseguito dai Cristiani a partire dal IV secolo al fine di trasformare l’antica cultura pagana. D’altronde la celebrazione della notte più lunga dell’anno e del ritorno della luce non sono esclusive di essa: chi meglio di Cristo può essere immagine della vera luce e del vero sole?
La simbologia cristiana è ricca di tali esempi e di questi è opportuno ricordare almeno il mosaico presente nella volta del mausoleo M (dei Giulii) nella Necropoli Vaticana, risalente probabilmente alla metà del III secolo: in essa è rappresentata un’immagine molto rara, cioè quella di Cristo rappresentato come Helios con un globo nella mano sinistra, alla guida di una quadriga trainata da cavalli bianchi mentre ascende al cielo su uno sfondo dorato con tralci di vite; il volto è circondato da un nimbo ovale da cui partono sette raggi a profilo cruciforme. La lettura della scena, uno dei più antichi mosaici parietali a soggetto cristiano, è confermata dalla presenza di scene già note in ambito catacombale sulle pareti del mausoleo stesso (il Buon Pastore, il Pescatore e il profeta Giona): essa è forse troppo apertamente vicina alla simbologia pagana e raramente replicata, ma offre un significato chiarissimo, un’immagine di gioia e resurrezione. Il riferimento alla luce è evidente già nelle parole di Giovanni quando parla di Cristo come luce del mondo (Gv 1, 4-9 e Gv 8, 12) o anche in quelle di Agostino: “Cristo, la verità, è il nostro sole di giustizia, non questo sole che viene adorato dai Pagani” (Enarrationes in Psalmos 25,II,3).
La stessa immagine la possiamo trovare anche nella prima enciclica di papa Francesco, dove si può leggere: “Nel mondo pagano, affamato di luce, si era sviluppato il culto al dio Sole, Sol invictus, invocato nel suo sorgere. Anche se il sole rinasceva ogni giorno, si capiva bene che era incapace di irradiare la sua luce sull’intera esistenza dell’uomo. Il sole, infatti, non illumina tutto il reale, il suo raggio è incapace di arrivare fino all’ombra della morte, là dove l’occhio umano si chiude alla sua luce. (…) Consapevoli dell’orizzonte grande che la fede apriva loro, i cristiani chiamarono Cristo il vero sole” (Lumen Fidei, 1-2).
Concludiamo questa nostra nota sul Natale forse con le idee ancor più confuse di prima. Abbiamo cercato però di illustrare quanto sia difficile orientarsi all’interno di quel processo di assimilazione, trasformazione ed interpretazione di fonti diverse che ha dato vita al mondo moderno: studiare il passato con occhio il più possibile oggettivo è un’avventura meravigliosa per cercare di comprendere meglio anche noi stessi
in apertura: un particolare della Natività di Giotto, 1303-1305, Cappella degli Scrovegni, Padova