Anche quest’anno il 25 marzo viene ricordato il Dantedì, il giorno istituito nel 2020 e dedicato al ricordo del Sommo Poeta, la cui opera – come qui vedremo – non ha ancora cessato di riservarci sorprese…
di Riccardo M. De Paoli
Anche quest’anno viene ricordato da molteplici iniziative il Dantedì, il giorno istituito nel 2020 dal Governo italiano e dedicato al ricordo del Sommo Poeta. Fissato al 25 Marzo, esso vuole ricordare la possibile data di inizio del viaggio ultraterreno di Dante: ma in questo giorno si festeggia anche l’Annunciazione e l’antico capodanno fiorentino, rimasto in vigore fino alla riforma voluta dal granduca Francesco III di Lorena nel 1749. E forse, simbolicamente, lo possiamo leggere anche come il momento di un nuovo inizio per la vita di Dante. Ma quest’anno la ricorrenza si arricchisce pure dell’anniversario dei settecento anni dalla morte del grande poeta, avvenuta, come ben sappiamo, il 14 settembre del 1321 a Ravenna, città nella quale ancora riposa.
In occasione di una così importante data, questo articolo vuole brevemente ricordare il rapporto tra l’opera di Dante e un personaggio a tutti molto noto, ma quasi del tutto assente negli scritti danteschi: cioè Ponzio Pilato, il famoso governatore di Giudea, indissolubilmente legato al ricordo della Passione di Gesù, l’unico personaggio pagano il cui nome venga ricordato ogni domenica da milioni di fedeli in tutte le chiese del mondo.
Nulla sappiamo della sua origine e delle sue vicende prima dell’incarico in Giudea, e nemmeno il suo praenomen, ma la sua appartenenza al ceto equestre sembra suggerirci un’origine italica, forse sannitica. Probabilmente fece carriera nell’esercito fino ai massimi livelli permessi ad un cavaliere e per i suoi meriti nominato nel 26 d.C. procuratore imperiale in Giudea. Appena giunto in quella terra, però, si accorse che il popolo ebraico non avrebbe fatto nulla per facilitare il suo compito: il nazionalismo religioso e il radicale attaccamento alla Torah sarebbero stati causa di una ferma opposizione alla politica di romanizzazione e Pilato, da parte sua, non dette mai mostra di fine diplomazia o di voler rispettare antiche prerogative di cui gli Ebrei erano gelosi. Forse, assieme alla moglie Claudia Procula, pensava di restare laggiù solo pochi anni e tornare presto a Roma, ricco di onori e di denaro, pronto a ricoprire cariche equestri sempre più prestigiose: ma la realtà sarebbe stata ben diversa.
Negli scritti di Flavio Giuseppe e Filone d’Alessandria, autori di lingua greca e religione ebraica, sono ricordati i dieci anni di Pilato in Palestina. Attraverso alcuni episodi di non concorde datazione, troviamo un ritratto di lui fortemente negativo, quale uomo corrotto, licenzioso e crudele: dal fallito tentativo di far entrare a Gerusalemme le insegne delle legioni recanti l’effigie dell’imperatore, alla coniazione (tra il 29 e il 31) di alcune serie di monete bronzee recanti simboli religiosi pagani e infine all’impiego di parte dei fondi del tesoro del Tempio per la costruzione di un nuovo acquedotto. Tre episodi contestati, che testimoniano senza dubbio una scarsa sensibilità da parte di Pilato verso gli Ebrei, ma che non ebbero particolari conseguenze per lui.
Un successivo episodio provocherà, questa volta, il diretto intervento imperiale: quando il procuratore decise di appendere al Palazzo di Erode a Gerusalemme alcuni scudi dorati, gli Ebrei lo scongiurarono di revocare l’ordine; ma non avendo avuto da lui alcuna soddisfazione, mandarono un’ambasceria all’imperatore, il quale lo rimproverò Pilato per il suo operato, ordinandogli di rimuoverli immediatamente. Possiamo solo immaginare quale possa essere stata la reazione di Pilato tra rabbia, umiliazione e desiderio di rivalsa.
Infine, l’ultimo episodio in cui è ricordato l’operato di Pilato è quello del massacro di Tirathana, dell’anno 36, di cui furono vittime i Samaritani, riuniti in armi sul monte sacro del Garizim. Il procuratore prontamente ordinò ai suoi soldati di disperderne i rivoltosi, uccisi o fatti schiavi e, subito dopo, di mettere a morte i capi della rivolta. A seguito di questo episodio, però, i Samaritani mandarono una legazione a Vitellio, governatore della provincia senatoria di Siria, dalla quale la Giudea dipendeva, e accusarono Pilato di aver fatto senza motivo strage dei loro. A seguito di questa ambasceria, Vitellio ordinò a Pilato di lasciare la Giudea e di ritornare a Roma per giustificare il proprio operato davanti a Tiberio. Ignoriamo quali siano i motivi che possano aver portato ad una tale decisione, ma da questo momento non abbiamo più notizie storiche su di Pilato e non possiamo che fare delle ipotesi sugli avvenimenti che seguono.
Costretto a lasciare molto presto Gerusalemme e ad affrontare un lungo viaggio verso Roma, quando Pilato vi giunse trovò sul trono Caligola, il nuovo imperatore, perché Tiberio era morto a marzo del 37.
Non sappiamo se Pilato sia stato giudicato a Roma dal nuovo imperatore e quale sia stato l’esito del giudizio. D’altronde, Svetonio e Dione Cassio ricordano un’amnistia che sarebbe stata concessa da Caligola subito dopo la sua ascesa al trono: ne beneficò anche Pilato? Non possiamo assolutamente dare una risposta a tali quesiti: la figura di Pilato esce ormai dalla storia documentata ed entra nelle tante leggende che per secoli interesseranno la sua figura.
Ma l’episodio più noto della sua vita è certamente l’incontro con Gesù, un incontro che legherà indissolubilmente le due figure e renderà così Pilato uno dei personaggi romani più famosi in ogni tempo e in ogni luogo. L’episodio avvenne alla vigilia della Pasqua ebraica, probabilmente nell’aprile dell’anno 30, quando Pilato si trovava a Gerusalemme: egli era infatti solito lasciare Cesarea Marittima, sua residenza, in occasione delle feste pasquali per poter mantenere meglio l’ordine nella città Santa, verso la quale convergevano migliaia di pellegrini.
Le uniche fonti di cui disponiamo per conoscere i fatti di quei giorni sono i Vangeli, che sostanzialmente concordano nel racconto degli avvenimenti: in essi Pilato emerge come un uomo vile e colpevole che non ha avuto il coraggio di riconoscere pubblicamente l’innocenza e la divinità di Gesù, vittima della perfidia dei sacerdoti giudei, veri responsabili della morte del Salvatore: un’immagine ben diversa da quella che abbiamo avuto di lui in Flavio Giuseppe e Filone d’Alessandria. Pilato, anche grazie alla notissima scena del lavaggio delle mani, viene così sollevato dalla condanna a morte di Gesù, addossata ai soli Ebrei. Ma certamente, sebbene Pilato facesse mantenere al Sinedrio le sue prerogative di somma autorità civile e religiosa, esercitare il diritto di mettere a morte qualcuno doveva rimanere prerogativa dell’autorità romana. Se Pilato davvero lo avesse voluto, avrebbe potuto salvare Gesù.
Ma chi fu veramente Ponzio Pilato?
Probabilmente si trattò di un buon militare, pronto ad ingraziarsi l’imperatore e timoroso di non apparire all’altezza del delicato compito che gli era stato affidato; un governatore vigile, attento ai minimi sospetti e disposto quando necessario ad impiegare i suoi soldati con metodi anche brutali. Egli vuole apparire come un uomo intransigente nei riguardi degli abitanti della Giudea, ma questa sua intransigenza lo porta spesso a porsi in situazioni difficili. Certamente Pilato non dimostra un grande senso politico e non sembra aver mai fatto nulla per attirarsi la simpatia degli Ebrei, ma molto semplicemente li ignora. Del tutto indifferente alla specificità ebraica, vuole governare la Giudea come una qualunque altra provincia dell’Impero e tutte le assurde richieste degli Ebrei gli sembrano solo un tentativo di limitare il legittimo potere di Roma.
Insomma, Pilato è un funzionario fedele all’imperatore, talvolta ottuso e poco aperto alle esigenze dei provinciali, ma la sua crudeltà e la sua avidità non appaiono certo maggiori di quelle di molti altri governatori romani. È probabile, quindi, che quello di Pilato sarebbe oggi solo uno dei tanti nomi di funzionari romani inviati nelle più lontane provincie dell’Impero, se non avesse incontrato sulla sua strada Gesù di Nazareth. Non possiamo sapere se questo incontro gli abbia davvero cambiato la vita, e se davvero egli non abbia saputo o potuto salvarlo, ma grazie a ciò Ponzio Pilato poté entrare nella Storia.
Cosa rimane di tutto questo in Dante?
Il nome di Pilato è ricordato in realtà solo episodicamente nelle opere latine del sommo poeta (in Monarchia 2,11,5 e 3,14,5 o nell’Epistola V,28) e soprattutto al fine di evidenziarne l’autorità, ma senza minimamente voler giudicare moralmente il suo operato. Spicca invece la sua assenza nella Divina Commedia, se non in un fugace accenno al verso 91 del XX canto del Purgatorio: Veggio il novo Pilato sì crudele.
Così viene ricordato Filippo il Bello, re di Francia, che dopo aver organizzato attraverso i propri emissari la cattura del papa Bonifacio VIII ad Anagni, si proclamò del tutto estraneo ai fatti, quasi come un novo Pilato.
Ma è possibile che Dante abbia volutamente trascurato un personaggio così noto, eternamente associato alla passione di Cristo? Non avviene altrettanto per Anna e Caifa, molto meno presenti di lui, che troviamo nel canto XXIII tra gli Ipocriti.
Per cercare di risolvere questo problema dobbiamo affrontare, seppure velocemente, uno dei punti più dibattuti di tutta la Commedia. Chi si deve riconoscere, tra gli Ignavi, nell’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto (Inf.III,59-60)?
Tutti sappiamo bene che la maggior parte dei critici, a partire da Jacopo Alighieri, figlio di Dante, ha identificato in lui il beato Pietro da Morrone, divenuto papa Celestino V. Dopo aver regnato da Luglio a Dicembre dell’anno 1294, egli decise di abdicare e al suo posto venne eletto il cardinale Benedetto Caetani, Bonifacio VIII. Un atto molto grave di viltà, del quale non sono ancora chiarissimi i motivi, ma che permise certo la salita al pontificato di colui che si sarebbe rivelato il nemico acerrimo di Dante. E questo potrebbe bastare per identificare con lui questa misteriosa figura: ma vi fu anche qualcuno che propose di vederci Esaù o persino l’imperatore Diocleziano.
Se questa identificazione è la più condivisa da tutti gli studiosi, dobbiamo però ricordare che già Giovanni Pascoli in un articolo apparso su Il Marzocco del 6 luglio 1902 proponeva di riconoscervi proprio Ponzio Pilato: chi più di lui fece il gran rifiuto, ignorando volutamente per pusillanimità di riconoscere la divinità del Cristo durante il processo, meritando quindi di essere condannato per l’eternità nel cerchio degli Ignavi? Secondo il poeta, grande studioso di Dante, la figura di Pilato sarebbe in netta antitesi con quella di Catone, il custode del Purgatorio: ambedue sono autori di un gran rifiuto, ma quest’ultimo seppe rifiutare la vita per amore della libertà (libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta, Purg.I,71-72); l’altro non riconoscendo Cristo, rifiutò per viltà la vera libertà.
La soluzione resta ancora aperta, ma certo la proposta di riconoscere Pilato in uno dei personaggi più famosi della Commedia è davvero molto suggestiva e risponderebbe al quesito che ci siamo posti poco fa. L’opera di Dante non ha ancora cessato di riservarci sorprese….
in apertura: il sarcofago di Giunio Basso (+359) conservato nei Musei Vaticani (particolare)