Una macchina che possa scendere nel profondo degli oceani a svelarne meraviglie e misteri? Esiste per davvero e, per realizzarla, è bastato copiare la Natura…
di Tommaso Terrevoli
L’uomo ha esplorato ogni luogo e ogni mare sulla Terra, mosso dalla sua costante curiosità, che ha generato molte delle grandi storie di avventura realmente accadute e compiute dai più importanti esploratori della storia.
Ci sono però dei posti dove non siamo mai riusciti a mettere piede per via dei nostri limiti fisiologici. Come ad esempio i fondali marini: luoghi impervi, dove non è concepibile la presenza umana per diversi motivi. Primo fra tutti la potentissima pressione, che sul fondo della fossa delle Marianne (l’abisso più profondo al mondo) arriva ad essere migliaia se non milioni di volte più forte di quella che abbiamo sulla superficie terrestre: di conseguenza ogni metodo di compensazione da parte dell’uomo risulterebbe, ovviamente, vano.
Fortunatamente possediamo l’ingegno, con cui siamo riusciti a progettare le più incredibili e impensabili macchine nel corso della storia, destinate a risultare molto utili in mansioni per noi molto ardue, come ad esempio raggiungere i fondali oceanici. Grazie all’uso di queste macchine abbiamo scoperto un mondo alieno; infatti gli abissi sono colmi di specie molto bizzarre, adatte a vivere in ambienti così estremi che non hanno mai visto né l’uomo né la luce del sole. Come ad esempio il drago di mare, che appunto ha un aspetto molto simile a quello di un drago, o l’inghiottitore nero che ha uno stomaco esterno grande circa il doppio del suo corpo, o ancora il pesce mandibola, con una mandibola grande quasi quanto l’intero corpo, ma soprattutto il diavolo nero, che ha una caratteristica unica: la femmina è grande dieci volte il maschio, che è in tutto e per tutto un parassita, visto che il suo compito è attaccarsi alla femmina e fecondarla, come una sanguisuga.
Tutte queste sensazionali scoperte, non sarebbero state possibili senza l’impiego di queste macchine. Purtroppo, anche le macchine sono limitate e non riescono a raggiungere determinati fondali, come quello della fossa delle Marianne.
È, però, notizia recente l’invenzione di un robot “soft” capace di raggiungere questi abissi, visto che riesce a far fronte alle pressioni di schiacciamento attive sul fondo dell’oceano.
Quello che è incredibile è il materiale con cui è rivestito: semplice silicone. Infatti i robot sottomarini solitamente sono rivestiti di spessi strati metallici per resistere alla pressione. In questo modo il “morbido” (detto “soft”, per l’appunto) materiale del robot può essere facilmente deformato e questa flessibilità può aumentare le sue capacità di movimento.
La sua struttura prende ispirazione da un pesce, lo Pseudoliparis swirei, in modo particolare dalla peculiare forma del suo cranio, evolutosi appunto per sostenere la pressione. Il robot risulta essere quindi molto leggero e anche abbastanza semplice nella sua composizione, con i componenti elettronici distribuiti all’interno del silicone: questo riduce lo stress per le interfacce tra i componenti sotto pressione, come hanno dichiarato i suoi inventori. Quindi questo robot risulterà molto utile nelle esplorazioni marine e magari ci permetterà di scoprire ecosistemi e specie altrettanto bizzarre e stravaganti come quelle descritte poc’anzi.
È inoltre interessante notare come l’uomo prenda per riferimento la natura per la costruzione delle sue macchine: la natura è il più grande inventore di questo mondo, tutti gli strumenti che l’uomo ha creato prendono da lei ispirazione e riflettono in qualche modo tutto ciò che già si trova su questo pianeta.
Questo perché ogni essere vivente ha delle caratteristiche specifiche che gli permettono di vivere in un determinato ambiente, e attraverso l’osservazione e lo studio di questi fenomeni possiamo apprendere veramente molto. E tutto ciò che impariamo ci può essere utile nella progettazione di nuove macchine come il robot soft.
È anche importante fare una considerazione sul tema del dualismo profondità-emersione. La metafora di un sommozzatore, un sottomarino o anche un robot di silicone ispirato alle teste dei pesci, che sfida la pressione e si immerge nei fondali inesplorati per poi emergere e poter finalmente respirare a pieni polmoni, la ritroviamo anche nella nostra vita. l’espressione comune “toccare il fondo” si riferisce proprio a questo: è un momento negativo della nostra vita, una fase in cui magari ci muoviamo nel buio, senza sapere cosa si stia realmente facendo. L’importante però è saper riemergere: la stessa emozione che prova un apneista, rimasto interi minuti in profondità senza respirare, che finalmente risale, vede la luce del sole e respira, la proviamo anche noi quando riusciamo a superare un periodo di crisi, come quello che stiamo vivendo tutt’oggi