La manifestazione di venerdì 15 marzo non è stata solo un intervento per la salvaguardia del clima, per il futuro dei giovani: è stata anche un atto sociale importante
di Lorenzo Cirelli
“C’è stato un tempo in questo Paese in cui gli scioperi, i cortei e le adunate in piazza erano un ingrediente acquisito della politica italiana. Erano, come si dice, il sale della democrazia” scrive Oscar Glioti a commento di “Zerocalcare: Scavare fossati – nutrire coccodrilli”, il volume edito da Bao che racconta la mostra che il fumettista romano ha tenuto di recente al MAXXI
Ecco, a preoccupare è sicuramente quel passato prossimo, quel “c’è stato” che sembra parlare di una generazione lontana, passata, e forse neanche troppo prossima. Si è perso, annacquato in società reali – e soprattutto virtuali -troppo grandi, quel sentimento di cittadinanza attiva, di riconoscimento innanzitutto interno di un peso sociale importante. A “possiamo fare la differenza” si è sostituito un bigio “non possiamo fare niente”
Venerdì 15 qualcosa è cambiato. In Italia le piazze piene di ragazzi sono state 182, il maggior numero in Europa dopo Francia e Germania. A Roma sono scesi in piazza 30.000 studenti, a Milano 100. La nostra generazione, quella quindi più lontana da quel “c’è stato”, si è mossa
Alcuni direbbero che un’affluenza così maestosa è stata sintomatica di una causa di primaria importanza e di impellente urgenza, e hanno ragione
Di per sé, però, questo non basta. Fra il riconoscere un problema e agire per risolverlo, c’è un abisso. Non basta ciarlare sull’importanza di qualcosa per trovarvi una soluzione, bisogna mobilitarsi: se votare è così importante, perché ad oggi molta gente non lo fa?
Qualcosa si è mosso nel verso giusto, complici i social, che hanno ricominciato ad essere protesi estensiva, e non strumento atto ad atrofizzare il vero arto. Non è solo “Far Web”, come direbbe Matteo Grandi nel suo libro omonimo, ma anche mezzo comunicativo potente, punto d’incontro
E allora io oggi, cari lettori, ve lo voglio dire di tutto cuore: sono felice. Sono davvero felice, perché la mia generazione, la mia tribù, non è – solo – quella che descrivono gli adulti. La mia tribù è colorata, sorridente, scende in piazza, protesta: aggiunge un pizzico di sale ad una democrazia ancora sciapa
(foto: © Elena Ranocchia)