Uno spietato narcotrafficante, criminale e stragista, ma anche un padre attento, un marito amorevole e un punto di riferimento per la parte più povera della Colombia. Un uomo che è incredibilmente diventato un vero personaggio nella cultura di massa
di Luca Sfrecola
Pablo Emilio Escobar Gaviria nasce il 1° dicembre del 1949 a Rionegro, cittadina nel nord della Colombia. Cresce per le strade di Medellín, sviluppando un forte senso di ribellione e di disubbidienza verso il sistema statale e verso i genitori, in particolare. Commette i primi crimini a 13 anni, tra cui figurano piccoli furti e truffe, reati che lo faranno confluire in una più ampia rete criminale.
Da questo spirito anticonformista nasce un movimento controculturale che riunisce i ragazzi di strada come Escobar: il cosiddetto “Nadaismo”, una sorta di Dadaismo rivisitato in versione colombiana. È proprio in questo ambito che matura per la prima volta il coinvolgimento di Escobar nel narcotraffico, interesse che sfocerà in un business miliardario, motivo di fama a livello internazionale per il colombiano.
Non a caso, infatti, l’apice di Escobar non tarda ad arrivare: nel 1974 conosce, nel carcere di Ladera, un noto contrabbandiere del luogo, Alberto Prieto, il quale lo aiuta ad inserirsi nel mondo del contrabbando e, nello specifico, nel traffico di grossi quantitativi di droga. Collusione e intimidazione hanno caratterizzato la società colombiana durante gli anni in cui la figura prettamente criminale di Escobar ha iniziato ad emergere.
Il colosso messo in piedi dal temuto criminale, un vero e proprio impero finanziario ed economico, raggiunge ben presto la sua massima espansione. Il successo è tale che la rivista Forbes lo annovera tra gli uomini con il capitale più esteso al mondo: una ricchezza che, però, desta sospetto fin da subito nelle autorità di polizia che indagano sui movimenti di Escobar.
Tramite i proventi del business di droga, il cartello di Medellín, gestito da Escobar e dai suoi seguaci, comincia presto a cambiare il paesaggio urbano cittadino. Vengono difatti erette numerose opere pubbliche e si dà avvio alla costruzione di case per famiglie povere. Un esempio eclatante di come, molte volte, il crimine, paradossalmente, possa rappresentare l’unica “valvola di sfogo” di una società allo sbando, dove i poveri sono l’ultimo baluardo di un sistema di istituzioni statali carente, inefficiente e inetto.
Inoltre, il narcotrafficante colombiano acquista una tale notorietà da avvalersi del soprannome “il re della cocaina”, arrivando a controllare i traffici di sostanze stupefacenti di Paesi come la Spagna, la Repubblica Dominicana, il Venezuela e gli Stati Uniti.
Nel 1983 tenta di immettersi anche nel mondo della politica. Forte sostenitore del Partito Liberale, si candida alla Camera, venendo eletto come deputato del partito stesso. Pronto ad uccidere i seguaci liberali qualora non volessero collaborare, Escobar utilizza un modus operandi in tutto e per tutto mafioso, caratterizzato da intimidazioni, minacce di morte e nei casi più agghiaccianti persino feroci spedizioni punitive e attentati di tipo dinamitardo. Si rende, quindi, responsabile della corruzione di alti funzionari dello Stato, politici e giudici, allo scopo di far avvicinare l’intera macchina statale al “mondo di mezzo”.
Nel 1985 il capo del cartello di Medellín, secondo fonti incerte e non del tutto veritiere, rimane coinvolto nell’attacco alla Corte Suprema colombiana dove muoiono diversi giudici e magistrati del tribunale. Tuttavia, l’assalto al Palazzo di Giustizia di Bogotá (“Toma del Palacio de Justicia” in spagnolo), organizzato dalle guerrillas del gruppo armato di ispirazione marxista-leninista M-19, sarà solo il primo di una serie di attacchi volti a mettere in ginocchio le istituzioni del Paese sudamericano.
Gli anni Novanta per Escobar, divenuto ormai una sorta di “divinità” per i suoi conterranei, sono caratterizzati da sanguinose lotte e faide tra i cartelli di Medellín e di Cali, quest’ultimo acerrimo rivale in affari. Nonostante ciò, Escobar può sempre contare su una colossale flotta di aerei e navi, perlopiù mezzi cargo paramilitari adibiti al trasporto di cocaina e armi da una parte all’altra del globo; per non parlare delle innumerevoli ricche proprietà che possiede, insieme ad immensi appezzamenti di terreno.
Ciò nonostante, come già detto in precedenza, il malavitoso – a dispetto della sua condotta violenta e criminale – viene considerato dagli abitanti della sua città natale come un eroe, un benefattore. Abile nelle sue relazioni con i cittadini, Escobar lavora molto sulla propria immagine, ottenendo via via sempre più consensi tra la popolazione e racimolando un numero di fedeli sempre maggiore, anche attraverso la realizzazione di importanti edifici pubblici come ospedali, scuole e stadi e la sponsorizzazione delle locali squadre di calcio. In tal modo, diventa sempre più ricco e rispettato dalla sua gente, che lo teme e lo ama allo stesso tempo, malgrado si sia reso protagonista di stragi di militari e poliziotti, ma anche di civili, con una quota di uccisioni senza precedenti.
Suo figlio Sebastián Marroquín ne parla così nel libro da lui scritto “Pablo Escobar, mi padre”: “era un uomo pieno di contraddizioni. Amava alla follia la sua famiglia. Aveva costruito per noi una hacienda, Nápoles, e l’aveva riempita di animali esotici per farci divertire. Ma allo stesso tempo ordinava omicidi e uccideva, senza pensare alle conseguenze. Trafficava droga, eppure mi sconsigliava di usarla, senza vietarmela perché conosceva gli effetti del proibizionismo sul mercato. Amava mia madre, ma la tradiva”.
Nel 1991, allo scopo di evitare l’estradizione richiesta dagli Stati Uniti, Pablo Escobar si consegna spontaneamente alle autorità e viene rinchiuso in carcere. Tuttavia, il criminale scende subito a patti con il governo colombiano, ottenendo dopo una lunga trattativa, il premio di costruirsi una prigione privata di lusso, “La Catedral”, dove dovrebbe di fatto restare imprigionato. Dopo di che viene spostato, su ordine del governo, in un penitenziario dai connotati più convenzionali, dove può essere monitorato con facilità dalle autorità.
Nel 1992, il reparto speciale dell’esercito statunitense Delta Force (successivamente verrà coinvolta anche la Marina dei Navy SEALs) viene dispiegato per la cattura di Escobar, evaso intanto dal carcere in cui era confinato precedentemente. Inizia così la latitanza del Re della cocaina, scandita da retaggi, raid e blitz improvvisi di polizia, forze speciali e forze di intelligence nei luoghi prediletti da Escobar, da lui utilizzati per nascondersi e camuffarsi.
Con l’acuirsi del conflitto, cresce anche il numero dei suoi nemici; oltre al governo U.S.A., alle forze speciali statunitensi, alla polizia di mezzo mondo, alle autorità colombiane e ai narcos del cartello di Cali, gli si mette contro anche un gruppo conosciuto come “Los Pepes”, che riunisce i perseguitati e gli oppressi da Escobar e dai suoi complici. Quest’ultimo, conseguentemente, comincia a circondarsi di guardie del corpo, al fine di salvaguardare la sua incolumità e la sua sicurezza.
Comincia così una sanguinosa campagna in cui più di 300 tra collaboratori e parenti di Pablo Escobar vengono assassinati e gran parte delle loro proprietà distrutte. Testimoni affermeranno in seguito che i membri del Bloque de Búsqueda, un’unità speciale della Polizia Nazionale della Colombia, e delle intelligence statunitense e colombiana, fossero collusi con “Los Pepes” o che ad ogni modo coordinassero le loro attività.
Questo coordinamento viene raggiunto tramite la condivisione delle informazioni di intelligence, poiché parte di queste verranno poi utilizzate dai “Los Pepes” nelle loro azioni di giustzia sommaria.
La guerra contro Escobar termina il 2 dicembre 1993 quando il Bloque, grazie alla triangolazione radio fornita dagli Stati Uniti, lo localizza e lo circonda in un quartiere borghese di Medellín, mentre si trova con la sua guardia del corpo, Alvaro de Jesús Agudelo (detto “El Limón”). I due malviventi tentano invano di fuggire correndo attraverso i tetti delle case adiacenti per raggiungere una strada secondaria, ma entrambi vengono uccisi dalla polizia colombiana. Escobar viene colpito da un proiettile al busto e da uno alla testa, quest’ultimo fatale, che gli costa la vita.
Dopo la morte del suo leader, il cartello di Medellín si frammenta e il mercato della droga viene presto occupato e dominato dal cartello di Cali, i cui esponenti verranno catturati e arrestati negli anni a seguire, smantellando di fatto un’altra banda di narcos e portando a termine l’ennesima vittoria contro il narcotraffico e il contrabbando di sostanze stupefacenti.
Pablo Escobar, volenti o nolenti, nel bene o nel male, ha ad ogni modo plasmato la storia del tempo in cui tale figura, tanto enigmatica e contraddittoria quanto diabolica e feroce, ha vissuto, rivelandosi come una persona dai mille volti: alle volte padre premuroso, alle altre spietato e gelido assassino. Una persona che mentre guardava i suoi figli giocare amorevolmente nella hacienda di famiglia ordinava e impartiva comandi ben precisi ai suoi seguaci, tra cui omicidi, rapimenti e attentati incendiari a coloro i quali andavano contro gli interessi del cartello o erano intenzionati a fermare la prepotenza e le ingiustizie che venivano messe in atto.
Un uomo, padre di due figli e marito che amava i suoi piccoli e sua moglie alla follia, ma che allo stesso tempo faceva uccidere donne e bambini innocenti ogni giorno, alla luce del sole, senza alcuna pietà o rimorso.
La sua vita è diventata oggetto della cultura di massa, tra serie tv, film, fumetti e videogames, a dimostrazione di quanto le luci (poche) e le ombre (tante) della sua esistenza possano fare presa sul grande pubblico
(nella foto in apertura Andres Parra, che lo interpreta in una delle serie tv)